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giovedì 10 gennaio 2013
NOMINATION ALL'OSCAR 2013
Come l'anno scorso, anche quest'anno riassumiamo in un articolo le candidature all'oscar 2013.
Si rivela un anno estremamente povero per l'Italia, che raccoglie una sola la candidatura, quella di Dario Marianelli, autore delle musiche di Anna Karenina di Joe Wright. A fare da padroni, in particolare, due film:
Lincoln, ultimo lavoro del grande Spielberg (già vincitore di quattro premi oscar), che si porta a casa dodici nomination, e l'onirico Vita di Pi, di Ang Lee, che invece di oscar ne ha già vinti due; per lui undici nomination.Poco più staccati, a pari merito, stanno Argo, Il lato positivo - Silver linings playbook e Les miserables.
Da notare una curiosità: sono candidate per il premio alla migliore attrice protagonista Emmanuelle Riva (Amour) e Quvenzhané Wallis (Beasts of the Southern Wild): sono rispettivamente la più anziana (85 anni) e la più giovane (9) mai candidate all'oscar. Tanti, infine, i grandi nomi, Spielberg e Lee a parte: da Robert de Niro, Tommy Lee Jones e Anne Hathaway candidati come migliori attori non protagonisti, a Naomi Watts e Denzel Washington come migliori attori protagonisti, a John Williams per la colonna sonora (rigorosamente in coppia con Spielberg), a Quentin Tarantino per la migliore sceneggiatura originale. Andiamo allora a leggere le nomination delle sei categorie più importanti:
-miglior film:
Argo, Beasts of the Southern Wild, Django Unchained, Les Misérables, Lincoln, Il lato positivo – Silver Linings Playbook, Amour, Vita di Pi, Zero Dark Thirty
-miglior regista:
Michael Haneke (Amour), Ang Lee (Vita di Pi), Benh Zeitlin (Beasts of the Southern Wild), David O. Russell (Silver Linings Playbook), Steven Spielberg (Lincoln), Benh Zeitlin (Beasts of the Southern Wild)
-miglior attore protagonista:
Bradley Cooper (Il lato positivo – Silver Linings Playbook), Daniel Day-Lewis (Lincoln), Hugh Jackman (Les Miserables), Denzel Washington (Flight), Joaquin Phoenix (The Master)
-miglior attrice protagonista:
Jessica Chastain (Zero Dark Thirty), Jennifer Lawrence (Il lato positivo – Silver Linings Playbook), Emmanuele Riva (Amour), Quvenzhané Wallis (Beasts of the Southern Wild), Naomi Watts (The Impossible)
-miglior attore non protagonista:
Alan Arkin (Argo), Robert De Niro (Il lato positivo – Silver Linings Playbook), Tommy Lee Jones (Lincoln), Phillip Seymour Hoffman (The Master), Christoph Waltz (Django Unchained)
-miglior attrice non protagonista:
Amy Adams (The Master), Sally Field (Lincoln), Anne Hathaway (Les Miserables), Helen Hunt (The Sessions), Jacki Weaver (Silver Linings Playbook).
Premiazione il 24 febbraio prossimo a Los Angeles.
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martedì 8 gennaio 2013
RECENSIONE DI NON E' UN PAESE PER VECCHI
RECENSIONE DE "NON E' UN PAESE PER VECCHI"

Il film è tratto dal romanzo omonimo di Cormac McCarthy, del 2005, e ha vinto complessivamente quattro premi oscar: presentato alla 60° edizione del festival di Cannes, nel 2008 è stato premiato come miglior film, per la miglior regia, per la migliore sceneggiatura non originale e per il miglior
attore non protagonista, uno straordinario Javier Barden.
La trama è relativamente semplice, ciò che sorprende è l'assenza di un protagonista: l'unica presenza che rimane costante per tutto il film, e che potrebbe quindi essere il protagonista, è il personaggio con tutte le caratteristiche del tipico cattivo, dell'antagonista, appunto Javier Barden, nei panni dell'assassino Anton Chigurh.
Ambientato in Texas nel 1980, il film racconta di Llewelyn Moss, reduce della guerra
in Vietnam, che si imbatte per caso nei resti di uno scambio di partite di droga finite male;
un mucchio di cadaveri e auto distrutte, e soprattutto una valigia contenente una grande somma di denaro.Llewelyn se ne impossessa, e fugge, per sempre, dalla sua vita di tutti i giorni, consapevole di essere inseguito da uomini senza scrupoli che rivogliono i loro soldi. Tra questi c'è Anton Chigurh, killer spietato e macabro, che ha la particolarità di lasciar scegliere alle sue vittime se vivere o morire, a testa o croce.
Sulle tracce della scia di sangue immotivata che si lascia alle spalle il killer Chigurh si mette lo sceriffo Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones), oramai anziano e prossimo alla pensione. Il primo scopo di Bell è tentare di salvare Moss dalla situazione che lui stesso si è creato.
Vari personaggi, come lo sceriffo Carson Wells (Woody Harrelson), entrano nel film, lasciando allo spettatore la sensazione che potrebbero cambiare la storia e fermare l'escalation di omicidi, ma questi stessi rimangono vittime della mano armata di Chigurh. Nella fuga da Chigurh, Moss si imbatte in una banda di messicani, che giungono nel suo hotel prima dell'assassino e dello sceriffo Bell, uccidendo Llewelyn senza però riuscire a recuperare il denaro, che sarà successivamente ritrovato da Chigurh. Il ritmo del film viene brutalmente spezzato dalla morte di Moss, che fino a quel momento era stato il centro della storia, il protagonista "mancato".
Qui è evidente il tocco d'autore dei fratelli Coen. La storia si chiude con Chigurh che compie un ultimo omicidio, assassinando la moglie di Moss, completamente incolpevole, solo perché aveva promesso al marito che l'avrebbe fatto: dopo il suo ennessimo crimine, Chigurh è vittima di un grave incidente stradale da cui esce illeso, scomparendo dal film zoppicando e con un braccio rotto. Lo sceriffo Ed Tom Bell decide di andare in pensione dopo la mancata risoluzione del caso, prendendo coscienza di essere inadatto al suo tempo.
Il film si basa soprattutto sul ritmo della narrazione costantemente interrotto e stravolto rispetto ai canoni della normale storia thriller. La mancanza di un protagonista e l'assenza di ogni minimo scrupolo ad uccidere chiunque sembrano voler mettere in primo piano la violenza del mondo e il fatto che non c'è differenza alcuna fra un morto e un altro.
E' un film da vedere per gli appassionati del genere e per gli estimatori dei Fratelli Coen, che con questofilm imprimono un'altra pennellata della loro genialità.
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RECENSIONE DI THE ELEPHANT MAN
di David Lynch
coglibile
ma costituiti di puri impatti visivi e sonori, guardando "The elephant
man" rimarrà sorpreso dal fatto che è completamente fuori dai canoni
tipici del regista statunitense.
Questa volta la trama c'è, eccome, ed è basata sulla storia vera di
Joseph Carey Merrick, vissuto in Inghilterra fra il 1862 e il 1890 e
affetto da una gravissima malattia chiamata "sindrome di Proteo", che
gli afflisse gravi deformità dalla nascita.
Per questo, fu soprannominato "l'uomo elefante".
Merrick
(John Hurt) è trattato, a causa del suo corpo così strano e spaventoso
alla vista, come un fenomeno da baraccone in uno spettacolo di strada
gestito dal costantemente ubriaco Bytes.
Qui,
Merrick, che veste un cappuccio in modo da coprire le deformità del
viso, viene visto dal dottor Frederick Treves , l'unico che mostri
interesse per il suo caso e a provare per Merrick umanità, che lo porta
nel suo ospedale, dove continua la discriminazione nei confronti di
Merrick, chiuso in quarantena per non essere cacciato dal direttore, che
non accetta malati incurabili nel suo ospedale: Merrick viene seguito
da una delle infermiere di Treves, e lo stesso Treves, per dimostrare
che il suo cervello, nonostante tutto, è funzionante, insegna a Merrick a
dire alcune parole.
Qui si vede per la prima volta il vero volto di Merrick, senza cappuccio.
Il
caso di Merrick prende piede, arrivando a interessare aristocratici,
compagnie teatrali e persino la Regina Vittoria, che si impegna a
finanziare le sue cure: nel frattempo, Treves rimane sempre più colpito
dalla sensibilità di Merrick, e decide di presentarlo a sua moglie, in
un incontro commovente, in cui Merrick parla ad Anne Treves di sua
madre.
Un
guardiano dell'ospedale inizia a far visitare la stanza di Merrick a
prostitute e alcolisti, fra cui c'è anche Bytes, che decide di
reimpossessarsi del suo fenomeno da baraccone, l'uomo elefante.
Merrick
è di nuovo utilizzato come spettacolo, poi, stremato e inerme, viene
rinchiuso in una gabbia, da cui riesce a fuggire grazie all'aiuto di un
gigante e di un gruppo di nani. Merrick ritorna in Inghilterra, a
Londra, dove è inseguito da un gruppo di ragazzini; nella fuga urta una
bambina, causando l'ira dei presenti, che lo inseguono. Merrick si
rifugia in una toilette, dove sviene stremato.
Treves,
aiutato da Scotland Yard, si mette sulle tracce di Merrick, riuscendo a
riportarlo in ospedale: i dottori capiscono che la vita di Merrick è
ormai alla fine. Merrick viene accolto calorosamente ad uno spettacolo
teatrale dove è invitato dalla signora Treves, dopodichè ringrazia il
dottor Treves per tutto quello che ha fatto per lui (chiamandolo
ripetutamente "amico"), e si sdraia supino sul suo letto, togliendo i
cuscini che facevano da sostegno al suo corpo. Merrick è perfettamente
coscente che questa scelta lo porterà alla morte per soffocamento.
Il film ricevette otto nomination a premi Oscar nel 1981, senza però vincerne nessuno.
La
regia è una delle più riuscite di Lynch, e l'interpretazione di Hurt e
di Hopkins è straordinaria: il film è capace di commuovere come pochi
altri, e si distingue per la profondità e il pathos di alcune scene
indimenticabili.
Da vedere, assolutamente.
Da vedere, assolutamente.
RECENSIONE DI DRIVE
di Nicolas Winding Refn
E' uscito in Italia solo da tre settimane, ma
sta avendo un enorme successo: si tratta di "Drive", film del regista
danese Nicolas Winding Refn, tratto dal romanzo omonimo di James Sallis del
2005.

Il film è stato recensito positivamente da
gran parte delle critiche cinematografiche di tutto il mondo, e ha vinto il
premio per la miglior regia al Festival di Cannes di quest'anno.
Il protagonista del film, di cui non si dice
mai il nome, è Ryan Gosling, già attore, fra gli altri film, ne "Le pagine
della nostra vita" e "Il sapore della vittoria": Gosling è
-perfettamente- calato nella parte di un personaggio di quelli che faranno
tendenza, sullo stile dei personaggi interpretati a volte ad esempio da James
Dean. Poche parole, stessi guanti, stessa giacca e stesse scarpe per tutta la
durata del film, atteggiamento imperturbabile. Gosling è un pilota che guadagna
da vivere facendo lo stuntman ad Hollywood e lavorando in un'officina dove ha
anche un grande rapporto di amicizia col suo datore di lavoro, Shennon (Bryan
Cranston). La prima scena del film fa subito capire che il protagonista ha
avuto anche rapporti con la malavita, e ha sfruttato le sue doti di grande
pilota per organizzare fughe dopo i furti. Ma non ha mai fatto male a una
mosca.
L'Autista si è appena trasferito a Los
Angeles, dove incontra la sua vicina di casa: praticamente è colpo di fulmine,
ma non dichiarato. Irene (Carey Mulligan) ha un figlio piccolo, Benicio, e un
marito in carcere, Standard. Gosling allora decide di passare il suo tempo ad
aiutare Irene e il bambino, con cui stringe due rapporti di forte amicizia. Nel
frattempo, Benicio viene liberato: giura di aver chiuso con la malavita, ma
Gosling lo trova sanguinante in garage pochi giorni dopo. Alcuni uomini lo
avevano malmenato dopo che Standard aveva rifiutato di compiere una rapina per
saldare un vecchio debito coi loro boss, giurando che le prossime vittime
sarebbero state proprio Irene e Benicio. Allora, l'autista e Standard, diventati
nel frattempo amici, organizzano una rapina, l'ultima per entrambi, con cui
saldare i debiti e chiudere definitivamente la storia. Ma questa va male, e
Standard viene ucciso dagli scagnozzi del boss creditore all'uscita del
negozio. L'Aautista scappa col denaro: da qui, si scatena la fame di vendetta
del protagonista, che non punta a tenersi il bottino della rapina (tanto che da
subito se ne vorrebbe sbarazzare) ma soltanto a fare giustizia sull'ingiusta
morte di Standard, che ha rovinato la vita di Irene e Benicio. La durezza delle
immagini che seguono da questo momento in poi può far pensare a un film che
punta solo sul sangue e sulla violenza per fare incassi, ma a me
"Drive" è parso molto di più: la psicologia profonda del personaggio
dell'autista fa riflettere, ed è affidata ad una frase pronunciata da Benicio
in un momento del film che apparentemente passa inosservato, mentre guarda la
tv: "non esistono squali buoni".
Lascio a voi la visione, ve lo consiglio
davvero: all'inizio pensavo si trattasse di un'americanata o di qualcosa di
simile, di un film basato su storie storpiate di famiglie mafiose che lottano
fra di loro come molti altri. La componente violenta c'è -il film è uno dei più
duri che abbia mai visto- sicuramente, ma non bisogna soffermarsi soltanto su
questa. La scelta della musica, i tempi che si spezzano all'improvviso
nell'andatura generale veloce del film, le interpretazioni rendono il film da
vedere assolutamente, magari al cinema dove l'effetto sonoro rende molto di
più.
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RECENSIONE DI "13" - MEGADETH
"13" è il tredicesimo album in studio dei Megadeth. Dave Mustaine
l'aveva presentato, nelle interviste pre-uscita, come il cd più pesante
che avesse mai scritto, accrescendo le già grandissime attese e
aspettative sull'album. Il lavoro segna il ritorno di Dave Ellefson al
basso: lo storico componente, cofondatore del gruppo, è tornato fra i
compagni dopo otto anni di assenza.
"13" (scritto anche "Th1rt3en") è un classico album dei Megadeth: non sarà quella bomba esplosiva che Mustaine aveva promesso, ma fa la sua buona presenza in una grande annata per la musica come il 2011. Lo stile non è cambiato, l'heavy metal classico è sempre quello, e il fatto che sia uscito lo stesso giorno di "Lulu" dei Metallica segna, in qualche modo, un ulteriore svolta fra le due band storiche rivali: i Metallica sono cambiati, forse anche rinnovati, e hanno modificato il loro stile nel corso degli anni. I Megadeth sono rimasti sullo stile puro e cattivo degli anni '80. Per questo "13" è un disco classico.
L'album, che arriva due anni dopo "Endgame", è più immediato di quest'ultimo, e ha davvero pochi momenti di pausa: le tracce -ovviamente tredici- scorrono, una dopo l'altra, in un fiume di note, riff e assoli tutti all'insegna di uno stile pungente, cattivo.
Di pezzi davvero esaltanti non ce ne sono, di canzoni che segneranno la storia dell'heavy metal nemmeno, ma il lavoro è nel complesso buono. Il cd si apre con due canzoni dalla struttura abbastanza simile, "Sudden death" e "Public enemy No.1". La prima parla, in accordo col tipico Mustaine, di morte e distruzione, la seconda è dedicata ad Al Capone. Meglio la prima, a dire il vero, più lunga e con assoli meglio riusciti; la seconda (di cui è uscito anche il video) pecca abbastanza nel ritornello, che risulta quasi lagnoso. Niente di speciale "Whose life (is it anyways?), con suoni e riff che ricordano quasi il grunge e Alice in Chains, mentre già più intrigante è "We the people", con un testo impegnato secondo le idee politiche più volte espresse da Mustaine, con la rivoluzione sullo sfondo, un ritmo originale e un assolo molto ben riuscito. "Guns, drugs & money" è forse il pezzo meno riuscito, nonostante un approcccio groove-metal: il testo sembra quasi uno sproloquio di un adolescente dopo una sbronza e la costante ambientazione in Messico farà discutere.
Bella l'accoppiata "Never dead"-"New world order", che tira su un pò l'andamento del cd e lo porta forse ai livelli massimi per quanto riguarda questo lavoro. La prima ha un riff felocissimo e dirompente, buono per l'headbanging, dopo un intro semi-acustica, unica pecca sono gli assoli che lasciano un pò di amaro in bocca. La seconda, con un testo che parla di religione e in particolare delle redazione della bibbia, è una canzone del '91 pubblicata solo oggi, con andamento saltellante nella prima parte e molto più heavy nella seconda, con assoli fra i più riusciti del cd.
Risultano un pò dispersive "Fast lane" e "Black swan", nonostante quest'ultima presenti forse il ritornello più cantabile del cd. C'è molta velocità e molta cattiveria, ma alla fine si ha l'impressione di non arrivare mai al punto. Decisamente migliore è "Wreacker": un testo che sembra parlare di una donna che rovina senza motivazioni una storia d'amore (la "distruttrice" del titolo) mischiata a riff cattivi e carichi il giusto. Non mi piace la seguente "Millenium of the blind", che pare essere all'inizio una ballata, con un arpeggio a cui si sovrappone un assolo francamente troppo tecnico, per poi trasformarsi in un altro pezzo con ispirazioni groove metal, con un riff molto lento e cadenzato, ripetitivo a lungo andare.
"Deadly nightshade" è un altra delle tracce migliori: il riff è potente, cattivo, forse un pò ripetitivo dopo un pò, ma carico. Il ritornello non è eccezionale, ma gli assoli sono molto validi e l'orchestrazione generale (se di orchestrazione si può parlare in un pezzo heavy-metal) risulta la migliore dell'album.
L'album si chiude con la traccia più lunga, la tredicesima, "13": quasi sei minuti in cui si fondono vari elementi "megadethiani" come un intro semi-acustico, un cantato (finalmente!) espressivo e quasi inquietante di Mustaine, un tono epico e assoli molto ben fatti. In generale non ha forse quel guizzo che la può far spiccare sopra le altre canzoni ma è ben costruita.
In conclusione, cosa si può dire: si sente il ritorno di Ellefson, i giri di basso sono più presenti e hanno un tocco diverso, ma pecca ancora leggermente la batteria di Shawn Drover, che si limita quasi sempre ha fare il suo compitino -anche su ritmiche complicate, ineccepibilmente- senza mai uscire dalla parte. Broderick ha una tecnica mostruosa, e lo sappiamo tutti, ma gli assoli sono troppo farciti di tecnica, col quasi totale sacrificio della melodia. Nonostante questo, l'album merita più della sufficenza perchè, in un'ora, è capace di non stancare, e anche se non ha pezzi di spicco riesce a distinguersi grazie a canzoni come "Never dead", "Wreacker", "Deadly nightshade" e "13" che saranno, probabilmente, suonate spesso nel tour. E poi i Megadeth sono sempre i Megadeth, dopo quasi trent'anni di heavy metal.
Voto: 6,5
"13" (scritto anche "Th1rt3en") è un classico album dei Megadeth: non sarà quella bomba esplosiva che Mustaine aveva promesso, ma fa la sua buona presenza in una grande annata per la musica come il 2011. Lo stile non è cambiato, l'heavy metal classico è sempre quello, e il fatto che sia uscito lo stesso giorno di "Lulu" dei Metallica segna, in qualche modo, un ulteriore svolta fra le due band storiche rivali: i Metallica sono cambiati, forse anche rinnovati, e hanno modificato il loro stile nel corso degli anni. I Megadeth sono rimasti sullo stile puro e cattivo degli anni '80. Per questo "13" è un disco classico.
L'album, che arriva due anni dopo "Endgame", è più immediato di quest'ultimo, e ha davvero pochi momenti di pausa: le tracce -ovviamente tredici- scorrono, una dopo l'altra, in un fiume di note, riff e assoli tutti all'insegna di uno stile pungente, cattivo.
Di pezzi davvero esaltanti non ce ne sono, di canzoni che segneranno la storia dell'heavy metal nemmeno, ma il lavoro è nel complesso buono. Il cd si apre con due canzoni dalla struttura abbastanza simile, "Sudden death" e "Public enemy No.1". La prima parla, in accordo col tipico Mustaine, di morte e distruzione, la seconda è dedicata ad Al Capone. Meglio la prima, a dire il vero, più lunga e con assoli meglio riusciti; la seconda (di cui è uscito anche il video) pecca abbastanza nel ritornello, che risulta quasi lagnoso. Niente di speciale "Whose life (is it anyways?), con suoni e riff che ricordano quasi il grunge e Alice in Chains, mentre già più intrigante è "We the people", con un testo impegnato secondo le idee politiche più volte espresse da Mustaine, con la rivoluzione sullo sfondo, un ritmo originale e un assolo molto ben riuscito. "Guns, drugs & money" è forse il pezzo meno riuscito, nonostante un approcccio groove-metal: il testo sembra quasi uno sproloquio di un adolescente dopo una sbronza e la costante ambientazione in Messico farà discutere.
Bella l'accoppiata "Never dead"-"New world order", che tira su un pò l'andamento del cd e lo porta forse ai livelli massimi per quanto riguarda questo lavoro. La prima ha un riff felocissimo e dirompente, buono per l'headbanging, dopo un intro semi-acustica, unica pecca sono gli assoli che lasciano un pò di amaro in bocca. La seconda, con un testo che parla di religione e in particolare delle redazione della bibbia, è una canzone del '91 pubblicata solo oggi, con andamento saltellante nella prima parte e molto più heavy nella seconda, con assoli fra i più riusciti del cd.
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Dave Ellefson |
Risultano un pò dispersive "Fast lane" e "Black swan", nonostante quest'ultima presenti forse il ritornello più cantabile del cd. C'è molta velocità e molta cattiveria, ma alla fine si ha l'impressione di non arrivare mai al punto. Decisamente migliore è "Wreacker": un testo che sembra parlare di una donna che rovina senza motivazioni una storia d'amore (la "distruttrice" del titolo) mischiata a riff cattivi e carichi il giusto. Non mi piace la seguente "Millenium of the blind", che pare essere all'inizio una ballata, con un arpeggio a cui si sovrappone un assolo francamente troppo tecnico, per poi trasformarsi in un altro pezzo con ispirazioni groove metal, con un riff molto lento e cadenzato, ripetitivo a lungo andare.
"Deadly nightshade" è un altra delle tracce migliori: il riff è potente, cattivo, forse un pò ripetitivo dopo un pò, ma carico. Il ritornello non è eccezionale, ma gli assoli sono molto validi e l'orchestrazione generale (se di orchestrazione si può parlare in un pezzo heavy-metal) risulta la migliore dell'album.
L'album si chiude con la traccia più lunga, la tredicesima, "13": quasi sei minuti in cui si fondono vari elementi "megadethiani" come un intro semi-acustico, un cantato (finalmente!) espressivo e quasi inquietante di Mustaine, un tono epico e assoli molto ben fatti. In generale non ha forse quel guizzo che la può far spiccare sopra le altre canzoni ma è ben costruita.
In conclusione, cosa si può dire: si sente il ritorno di Ellefson, i giri di basso sono più presenti e hanno un tocco diverso, ma pecca ancora leggermente la batteria di Shawn Drover, che si limita quasi sempre ha fare il suo compitino -anche su ritmiche complicate, ineccepibilmente- senza mai uscire dalla parte. Broderick ha una tecnica mostruosa, e lo sappiamo tutti, ma gli assoli sono troppo farciti di tecnica, col quasi totale sacrificio della melodia. Nonostante questo, l'album merita più della sufficenza perchè, in un'ora, è capace di non stancare, e anche se non ha pezzi di spicco riesce a distinguersi grazie a canzoni come "Never dead", "Wreacker", "Deadly nightshade" e "13" che saranno, probabilmente, suonate spesso nel tour. E poi i Megadeth sono sempre i Megadeth, dopo quasi trent'anni di heavy metal.
Voto: 6,5
RECENSIONE DI J.EDGAR
RECENSIONE DI J.EDGAR

Il film, lungo più di due ore, narra la storia della vita di Hoover (interpretato magistralmente da Leonardo di Caprio), a partire dalla giovinezza e dal suo ingresso nell'FBI, a 29 anni. Hoover appare come un uomo duro, rigido e mirato alla carriera e alla difesa stoica della patria, bollato a vita dall'ideologia conservatrice.
La vita di Hoover scorre attraverso gli incontri e i casi fondamentali che lo portano, gradino dopo gradino, a fare di sè l'uomo che è stato poi consegnato alla storia. Fra questi incontri, anche quello con Clyde Tolson (Armie Hammer), l'unico -pare- amore della sua vita. La psicologia del protagonista si dispiega principalmente attraverso due rapporti: quello con Clyde, tormentato, oscuro e minato dal tabù dell'omosessualità (chiaramente ingigantito per un uomo tutto d'un pezzo come appariva Hoover, specie se a capo dell'FBI), e quello con la madre di Hoover, interpretata da una splendida Judi Dench.
La madre è l'unica che ha veramente capito J.Edgar, l'unica che conosce ogni sua nascosta incertezza, l'unica che sa davvero da che parte prenderlo per risollevarlo nelle difficoltà del portarsi dietro un'immagine di uomo pubblico tanto spigolosa. E' lei, anche, la fonte degli ideali fortemente anti-bolscevichi (portati all'esagerazione e quasi alla satira nel corso del film) e, come detto, conservatori di Hoover.
Per conoscere la trama basta leggere una breve biografia di Hoover: caso Linberg, caso Dillinger, una serie di successi professionali che hanno come contrappeso sulla bilancia una profonda insoddisfazione sull'ambito delle amicizie e degli affetti, quasi nulli. Tanti i riferimenti agli ambiti bui della storia americana, come gli assassini di Martin Luther King e di Bob Kennedy, la corruzione di Richard Nixon. Poco o nulla di "filmesco" aggiunge alla storia Eastwood. Piano piano si fa largo l'idea che tutta la florida carriera di Hoover sia esattamente quello che in realtà è, una proiezione di una maschera di un uomo dilaniato interiormente, incapace di ammettere a sè stesso quello che è. Il volersi imporre una morale e voler rivoluzionare il sistema di giustizia fa a pugni con l'essere giusti. Quella che è per me la scena fondamentale, nel finale, vede gli anziani Tolson e Hoover a cena insieme, come sempre nella loro vita.
Clyde racconta quello che era veramente successo nelle risoluzioni dei casi sopra citati, che non coincideva con la versione della stampa che fino a quel momento anche il film aveva presentato; la verità vedeva un Hoover defilato nelle azioni e non leader carismatico come aveva voluto dipingersi. La sequenza è simbolica rispetto a quello che credo sia il senso del film.
La storia volge al termine con la morte di Hoover, nella sua villa, con la sua badante di colore e Clyde che andrà a piangerlo subito. Ma sarà praticamente l'unico. L'opinione pubblica si maschera dietro alle frasi di circostanza nel ricordo di un uomo scomodo, il presidente Nixon tiene un discorso ricco di ipocrisia e luoghi comuni. La riflessione sulla brevità della vita umana chiude il film.
Per quello che è il mio pensiero, questo non è decisamente il miglior film di Eastwood: ero solito terminare le visioni dei suoi film o con un pugno nello stomaco o con le lacrime agli occhi, stordito dalle emozioni narrate.
Questa volta "J.Edgar" mi lascia insoddisfatto, come se mancasse qualcosa alla quadratura del cerchio, qualche elemento deve essere assente. La recitazione è ottima, come è buona anche la regia: il film risulta però troppo prolisso per una storia che, alla fin fine, non decolla mai, ma rimane più o meno sulla stessa falsa riga per tutto il film. Mi sono interrogato anche su cosa frulli in testa all'Eastwood uomo, oggi, conservatore e repubblicano da una vita che si confronta col passato torbido e oscuro degli uomini della destra americana, forse più che altre volte. Il risultato è un film a tratti confuso, quasi contraddittorio, che sembra voler essere democratico in una cornice completamente repubblicana.
Ma forse è proprio questo l'effetto che ha voluto creare il vecchio Clint, sottolineare la confusione della politica e delle ideologie?
Vi consiglio in ogni modo la visione del film, specie per gli appassionati del regista.
Ognuno potrà trovare, credo, un significato diverso e proprio alla storia e alle sue sfaccettature.
RECENSIONE DI SHAME
Recensione di "Shame"

La trama del film è tutto sommato semplice, anche se spesso svelata tramite la sovrapposizione di piani temporali. Brandon è uno fra gli otto milioni di newyorkesi, tuttavia ci si accorge fin dalle prime scene della sua quasi inumana freddezza e della sua cura maniacale del corpo (tanto che le prime scene lo ritraggono nudo a percorrere gli stessi passi e ad ascoltare impassibile lo stesso messaggio supplichevole di una delle sue donne, il tutto accompagnato da un inesorabile ticchettio di sottofondo). La vita di Brandon si riduce al sesso e al lavoro, necessario a non dipendere da nessuno e a non essere schiacciato in un angolo. Avere un tale bisogno sessuale comporta anche l'esigenza di continui nuovi stimoli, e perciò di nuove amanti in continuazione.
Il meccanismo ben collaudato secondo cui aveva vissuto Brandon, una sera si inceppa. Ad accoglierlo nel suo appartamento dopo un giorno di lavoro, è una, musica inquietante e la presenza di qualcuno. Afferrata una mazza da baseball, Brandon entra in bagno, dove trova e spaventa a morte la sorella. Lei (Sissy) è una ragazza sbandata, che vive grazie alla sua voce (fa la cantante) e ha bisogno di un posto dove stare per qualche giorno. Fin da subito il loro rapporto si rivela pessimo: lui la considera invadente, disordinata e parassita, mentre lei lo vede scorbutico e alienato. Brandon appare estremamente duro nei confronti di Sissy, trattandola come egli tratta qualsiasi altra donna e rifiutandosi di aiutarla anche quando supplicato. In realtà, in poche occasioni, il protagonista sembra accorgersi dell'insensatezza di tale durezza: lo fa commuovendosi sentendo la sorella cantare, lo fa gettando via tutte le sue riviste pornografiche, lo fa correndo disperatamente per salvare la sorella; tuttavia sembra sempre troppo tardi, non abbastanza per una vera conversione.
L'unica speranza, a mio avviso, è data dalla scena finale: ripresentatasi la stessa situazione dell'inizio (Brandon in metrò che scambia occhiate con una ragazza attraente di fronte a lui), invece che inseguirla fino a farla scappare via, questa volta la guarda fissa negli occhi, aspetta che lei si alzi e, senza muoversi, la lascia scendere e disperdersi tra la folla metropolitana.
Guardare un film così non è semplice. Lo spettatore compie un viaggio completo all'interno dell'anima del personaggio, osservandolo pisciare, godere, correre, provocare e soffrire. Ma è proprio questa la grandezza del film: mostrare e far sentire addosso anche le cose di cui ci si vergogna, di cui non si vorrebbe parlare. Musiche e immagini vogliono rappresentare al massimo la parte più carnale e sotterrata dell'uomo, soffermandosi sulla doppiezza che viene a crearsi da ciò e sul dolore che tale spaccatura può provocare.
Il messaggio che ne ho tratto io è che il sesso così inteso, cioè unicamente diretto al piacere materiale, non solo è triste di per sè, ma può avere anche ripercussioni negative sugli altri e su sè stessi. Ci vedo, dunque, anche una critica estendibile alla società attuale, la quale purtroppo non esita a proporci esempi di persone d'accordo a vendere il proprio corpo per ambizione, anzi.
LA SUPER TERRA
È stato trovato un nuovo pianeta che avrebbe temperature ideali per poter ospitare essere viventi ( come noi l’intendiamo) .
Steven Vogt, astronomo presso l’Università della California, ha detto che il pianeta è perfetto per essere studiato, proprio per queste caratteristiche favorevoli alla vita. Probabilmente questo piante può avere acqua in forma liquida e proprio questo fattore lo rende ancora più interessante. Questo pianeta ha una massa superiore di 4,5 rispetto alla Terra, e la stella su cui orbita fa parte della costellazione dello Scorpione e si trova “vicino” a noi, a soli 22 anni luce.
Chissà se in questo pianeta è veramente presente della vita, intanto vi lasciamo con questa formula chiamata equazione di Drake, da colui che l’ha formulata, che esprimerebbe la probabilità dell’esistenza di pianeti che potrebbero essere abitati.
- N è il numero di civiltà extraterrestri presenti oggi nella nostra Galassia con le quali si può pensare di stabilire una comunicazione
- R* è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea
- fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti
- ne è il numero medio di pianeti per sistema solare in condizione di ospitare forme di vita
- fl è la frazione dei pianeti ne su cui si è effettivamente sviluppata la vita
- fi è la frazione dei pianeti fl su cui si sono evoluti esseri intelligenti
- fc è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare
- L è la stima della durata di queste civiltà evolute
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RECENSIONE DI THE ROAD
di John Hillcoat
The road è il quarto film di John Hillcoat, che continua la striscia di collaborazioni col cantautore australiano Nick Cave, che è stato con lui sceneggiatore e produttore delle colonne sonore.
Il film, che vanta un cast d'eccezione, Viggo Mortensen e Charlize Teron fra tutti, sembra a primo impatto il solito polpettone sulla fine del mondo, su morte e distruzione e su fine del genere umano. Ma, per una volta, è molto di più. Sono infatti molto sfumati i contorni della situazione della Terra rappresentata: una catastrofe non meglio identificata è avvenuta quattordici anni prima dell'ambientazione del film, e la Terra è ora abitata da pochissimi sopravvissuti, bande di cannibali e uomini disposti a tutto per tirare avanti. Il tutto in un ambiente grigio e desolato. Padre (Viggo Mortensen) e figlio (Kodi Smith-McPhee) camminano attraverso gli Stati Uniti per raggiungere la costa oceanica in cerca di clima migliore e cibo. Nel loro cammino trovano una riserva sotterranea di cibo e riescono a tirare avanti per un pò, salvo poi dover scappare. Si imbattono poi in un vecchio ormai prossimo alla morte per sfinimento, offrendogli cibo e compagnia per qualche giorno. Si scontrano, ancora, con una banda di banditi, probabilmente cannibali, riuscendo a sfuggire.Ai due capita anche che un ladro rubi loro tutto quello che hanno; il padre riuscirà a catturare il ladro, lasciandolo in vita ma privandolo di tutto quello che ha.
Il finale del film vede il padre ormai moribondo, che spiega al figlio come cavarsela da solo in questa Terra desolata e inospitale, con come unico oggetto la sua pistola, con due colpi in canna. Il ragazzo trova un gruppo di sopravvissuti fra cui una donna (Charlize Teron) e si aggrega a loro.
Il film, come dicevo, appare all'inizio come una storia da fine del mondo, di guerra fra alieni e terrestri, di tempeste solari. Invece il fatto che non si spieghi cosa sia successo sulla Terra, che i personaggi non abbiano un nome, che l'ambientazione sia solo accennata da alcuni particolari e soprattutto che la trama sia priva di colpi di scena, tutto questo fa sì che il film sia in realtà una sorta di insegnamento morale, nella ricerca fra il bene e il male. I comportamenti di padre e figlio, in una situazione tale, si alternano fra rigidi e spietati e generosi e spensierati. Il padre cerca di insegnare al figlio come sopravvivere, in ogni situazione, e come fare per non farsi mangiare (ovviamente non solo nella realtà cannibale del film, ma anche metaforicamente) da ciò che lo circonda. Regole di sopravvivenza e regole di moralità, di ricerca del giusto.
La durata del film sfiora le due ore, ma scorre via facilmente: non ha grossi colpi di scena e l'ambientazione rimane grosso modo sempre la stessa (volutamente, per sottolineare un mondo tutto uguale e alla fine della sua esistenza), ma nonostante ciò non annoia mai.
E' un film estremamente interessante, forse non un capolavoro ma sicuramente, nel suo campo, innovativo: riesce a trasmettere messaggi tanto importanti trasversalmente, raccontando una storia che apparentemente c'entra poco, e senza cadere nel banale o nel retorico. Da vedere.
L'autore del libro da cui è tratto il film, Cormac McCarthy, è autore anche del libro Non è un paese per vecchi, da cui è stato tratto l'omonimo film recensito precedentemente sul blog.
The road è il quarto film di John Hillcoat, che continua la striscia di collaborazioni col cantautore australiano Nick Cave, che è stato con lui sceneggiatore e produttore delle colonne sonore.
Il film, che vanta un cast d'eccezione, Viggo Mortensen e Charlize Teron fra tutti, sembra a primo impatto il solito polpettone sulla fine del mondo, su morte e distruzione e su fine del genere umano. Ma, per una volta, è molto di più. Sono infatti molto sfumati i contorni della situazione della Terra rappresentata: una catastrofe non meglio identificata è avvenuta quattordici anni prima dell'ambientazione del film, e la Terra è ora abitata da pochissimi sopravvissuti, bande di cannibali e uomini disposti a tutto per tirare avanti. Il tutto in un ambiente grigio e desolato. Padre (Viggo Mortensen) e figlio (Kodi Smith-McPhee) camminano attraverso gli Stati Uniti per raggiungere la costa oceanica in cerca di clima migliore e cibo. Nel loro cammino trovano una riserva sotterranea di cibo e riescono a tirare avanti per un pò, salvo poi dover scappare. Si imbattono poi in un vecchio ormai prossimo alla morte per sfinimento, offrendogli cibo e compagnia per qualche giorno. Si scontrano, ancora, con una banda di banditi, probabilmente cannibali, riuscendo a sfuggire.Ai due capita anche che un ladro rubi loro tutto quello che hanno; il padre riuscirà a catturare il ladro, lasciandolo in vita ma privandolo di tutto quello che ha.
Il finale del film vede il padre ormai moribondo, che spiega al figlio come cavarsela da solo in questa Terra desolata e inospitale, con come unico oggetto la sua pistola, con due colpi in canna. Il ragazzo trova un gruppo di sopravvissuti fra cui una donna (Charlize Teron) e si aggrega a loro.
Il film, come dicevo, appare all'inizio come una storia da fine del mondo, di guerra fra alieni e terrestri, di tempeste solari. Invece il fatto che non si spieghi cosa sia successo sulla Terra, che i personaggi non abbiano un nome, che l'ambientazione sia solo accennata da alcuni particolari e soprattutto che la trama sia priva di colpi di scena, tutto questo fa sì che il film sia in realtà una sorta di insegnamento morale, nella ricerca fra il bene e il male. I comportamenti di padre e figlio, in una situazione tale, si alternano fra rigidi e spietati e generosi e spensierati. Il padre cerca di insegnare al figlio come sopravvivere, in ogni situazione, e come fare per non farsi mangiare (ovviamente non solo nella realtà cannibale del film, ma anche metaforicamente) da ciò che lo circonda. Regole di sopravvivenza e regole di moralità, di ricerca del giusto.
La durata del film sfiora le due ore, ma scorre via facilmente: non ha grossi colpi di scena e l'ambientazione rimane grosso modo sempre la stessa (volutamente, per sottolineare un mondo tutto uguale e alla fine della sua esistenza), ma nonostante ciò non annoia mai.
E' un film estremamente interessante, forse non un capolavoro ma sicuramente, nel suo campo, innovativo: riesce a trasmettere messaggi tanto importanti trasversalmente, raccontando una storia che apparentemente c'entra poco, e senza cadere nel banale o nel retorico. Da vedere.
L'autore del libro da cui è tratto il film, Cormac McCarthy, è autore anche del libro Non è un paese per vecchi, da cui è stato tratto l'omonimo film recensito precedentemente sul blog.
CHE SUCCEDE IN EMILIA ROMAGNA?
In questi giorni le tematiche di corruzione e giustizia hanno
occupato le prime pagine di grandi giornali e sono state oggetto di
molti programmi televisivi ( “da che tempo che fa” a “gli intoccabili”
di la7 a “presa diretta”), mentre a livello locale hanno ricevuto poca
attenzione gli appelli di numerosi operatori di giustizia, politici,
assessori e giornalisti che hanno denunciato la gravità della situazione
qui in regione. Occorre fare il punto della "situazione mafiosa" in
Emilia Romagna, tema di cui ci siamo già occupati in precedenza nel
nostro blog .
Come lo ha definito il procuratore generale di Bologna Emilio Le Donne, il clima è un po' quello della cosiddetta "pax mafiosa", in cui, parafrasando le parole del procuratore, "le istituzioni locali economiche pensano che il pericolo mafia non sia all'ordine del giorno, mentre la criminalità organizzata ha chiesto perfino fondi pubblici alla Regione per le sue imprese". (dall'articolo "pax mafiosa in regione" de il Fatto Quotidiano).
Come lo ha definito il procuratore generale di Bologna Emilio Le Donne, il clima è un po' quello della cosiddetta "pax mafiosa", in cui, parafrasando le parole del procuratore, "le istituzioni locali economiche pensano che il pericolo mafia non sia all'ordine del giorno, mentre la criminalità organizzata ha chiesto perfino fondi pubblici alla Regione per le sue imprese". (dall'articolo "pax mafiosa in regione" de il Fatto Quotidiano).

Mentre si potrebbe citarne molti altri, scelgo di soffermarmi sull’ultimo appello: quello del pm di Modena Lucia Musti
“prestato” all’antimafia di Bologna, e recentemente al centro
dell’attenzione per le rivelazioni di un pentito, secondo cui il clan
dei Casalesi l’avrebbe fatta pedinare. La probabile assegnazione di una
scorta sarebbe la quarta nel giro di pochi mesi tra i magistrati
emiliani.
Il motivo per cui la commissione antimafia di Bologna si trova a dover farsi prestare pm è dovuto al fatto che a Bologna (e in tutta l’Emilia Romagna) non c’è ancora una sede della Dia (direzione investigativa antimafia, la cui sede più vicina è a Firenze). A dicembre, la Cancellieri, ex sindaco di Bologna e attuale ministro degli interni, aveva promesso come regalo natalizio che, per Aprile, avrebbe fatto istituire un’articolazione autonoma della Dia di Firenze per il capoluogo emiliano. A poco più di un mese non si conosce con esattezza né chi ne sarà a capo né dove
sarà collocata. Rimando comunque all’articolo del Fatto Quotidiano di ieri per ulteriori informazioni (ecco il link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/20/emilia-romagna-terra-nuova-mafia-esiste-ancora-sede/192531/?).
E’ di pochi giorni fa anche lo scandalo delle tessere degli iscritti al centro Pdl di Modena, dove il numero degli iscritti si è gonfiato nel giro di pochi giorni di migliaia di iscritti (5800 ora). La denuncia fatta ad Angelino Alfano da Isabella Bertolini, coordinatrice provinciale pdl che ha accusato il clan camorristico dei casalesi di aver truccato quelle tessere, vista anche la percentuale troppo alta di iscritti di origine casertana, ha scatenato stravaganti reazioni. Infatti l'affermazione ha fatto immediatamente scattare l' accusa di razzismo di Giovanardi e di “ballismo” da parte di Berselli, e ha coinciso con l'originale provvedimento preso da Alfano:
l'invio dell’onorevole Verdini
in città per capire cos'è successo nella sede Pdl di Modena. L'ho
definito un provvedimento originale per via della scelta di Alfano: per
chi non lo sapesse, Verdini è un politico pluri-indagato, coinvolto,
tra gli altri, nello scandalo P3, nel caso Papa, e nell’inchiesta su
corruzione e appalti truccati in Sardegna, in vista del G8 che poi non
si è mai tenuto. Se verrà aperta un’indagine e sarà provato l’intervento
mafioso, questa vicenda sarà solo un’altra conferma della presenza
della mafia in regione, e in particolare del clan dei Casalesi nel
territorio di Modena e provincia che Giovanni Tizian ha denunciato nel suo libro "Gotica".
Accanto all'ulteriore sfiducia verso la politica che questo scandalo mi suggerisce (tengo a sottolineare il fatto che l'accaduto è stato riscontrato in simili termini anche in numerose altre città, e che questo è solo uno degli ultimi scandali, basti pensare al caso Lusi o al caso Tedesco), devo scrivere di una sensazione opposta, di coinvolgimento e di speranza, che invece mi arriva da quei programmi televisivi di cui parlavo inizialmente, per esempio. Sarà il dovuto spazio che finalmente si sta iniziando a dare a temi importanti come la giustizia, o forse la consapevo
lezza
di essere tutti nel mezzo di una crisi, sarà la novità o la trasparenza
di un governo tecnico, ma mi sembra che l'Italia sia un paese un po'
più unito e civile ultimamente. Allo stesso modo l'antimafia sta facendo
qualche piccolo passo in avanti, basta pensare alle iniziative in corso
(per esempio lo spettacolo degli scout di Vignola
sostenuti da G.Alessi del prossimo venerdi 24/02 alla tenda di Modena) o
al libro presentato oggi dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso “Soldi sporchi” a Bologna. Per fortuna anche questo sta succedendo in Emilia!
Il motivo per cui la commissione antimafia di Bologna si trova a dover farsi prestare pm è dovuto al fatto che a Bologna (e in tutta l’Emilia Romagna) non c’è ancora una sede della Dia (direzione investigativa antimafia, la cui sede più vicina è a Firenze). A dicembre, la Cancellieri, ex sindaco di Bologna e attuale ministro degli interni, aveva promesso come regalo natalizio che, per Aprile, avrebbe fatto istituire un’articolazione autonoma della Dia di Firenze per il capoluogo emiliano. A poco più di un mese non si conosce con esattezza né chi ne sarà a capo né dove
sarà collocata. Rimando comunque all’articolo del Fatto Quotidiano di ieri per ulteriori informazioni (ecco il link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/20/emilia-romagna-terra-nuova-mafia-esiste-ancora-sede/192531/?).
E’ di pochi giorni fa anche lo scandalo delle tessere degli iscritti al centro Pdl di Modena, dove il numero degli iscritti si è gonfiato nel giro di pochi giorni di migliaia di iscritti (5800 ora). La denuncia fatta ad Angelino Alfano da Isabella Bertolini, coordinatrice provinciale pdl che ha accusato il clan camorristico dei casalesi di aver truccato quelle tessere, vista anche la percentuale troppo alta di iscritti di origine casertana, ha scatenato stravaganti reazioni. Infatti l'affermazione ha fatto immediatamente scattare l' accusa di razzismo di Giovanardi e di “ballismo” da parte di Berselli, e ha coinciso con l'originale provvedimento preso da Alfano:

Accanto all'ulteriore sfiducia verso la politica che questo scandalo mi suggerisce (tengo a sottolineare il fatto che l'accaduto è stato riscontrato in simili termini anche in numerose altre città, e che questo è solo uno degli ultimi scandali, basti pensare al caso Lusi o al caso Tedesco), devo scrivere di una sensazione opposta, di coinvolgimento e di speranza, che invece mi arriva da quei programmi televisivi di cui parlavo inizialmente, per esempio. Sarà il dovuto spazio che finalmente si sta iniziando a dare a temi importanti come la giustizia, o forse la consapevo

Ecco alcuni link che consiglio se l'argomento vi ha interessato:
http://www.youtube.com/watch?v=91q4VFRuLjw - intervista a Gaetano Saffioti (testimone di giustizia)
http://www.youtube.com/watch?v=kveC7w6U45E - Marco Travaglio
http://www.youtube.com/watch?v=Vbh1sJLJwBM -Gherardo Colombo
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