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martedì 11 dicembre 2012

RECENSIONE DI "OLD IDEAS", LEONARD COHEN

Chi è Leonard Cohen? E' facile da descrivere..un cantautore, un poeta, un incantatore, ma anche un vecchietto, un ubriacone, un uomo. No, forse non è così facile. Forse lo fa meglio lui stesso in Old Ideas, dodicesimo album della sua quasi cinquantennale carriera. Il Cohen di Old Ideas è tutto questo, tutto quello che è stato nella sua vita e nella sua carriera. E si descrive, ancora una volta, attraverso la sua musica, attraverso le sue parole.

La voce, si sa da anni, non si smuove praticamente più dai tipici timbri cupi e bassi che tanto ricordano Tom Waits, e la musica, come nel precedente Dear Heather, è lasciata a fare da puro accompagnamento, sullo sfondo della descritta graffiante e profonda voce, accompagnata da numerose leggere voci femminili. A differenza del precedente, però, stavolta tutti i testi sono di Cohen, e tutti (o quasi) sono profondamente autobiografici. Le scelte stilistiche e musicali fanno sì che Old Ideas non sia un album di facile ascolto, che anzi abbia bisogno di essere metabolizzato. Ma, una volta metabolizzato, regala tutto ciò che uno dei migliori dischi di Cohen può regalare, perchè di questo si tratta. Raccomandatissimo, come per tutti gli album di cantautori, l'ascolto con i testi delle canzoni sempre sott'occhio.
Il primo pezzo, "Going home", offre già la summa del cd; è l'autoritratto di Cohen, uomo vecchio, amaramente ironico e ferito, forse dagli anni, forse dal tempo che vive, chi lo sa. Il cd si apre con i versi "I love to speak with Leonard / He's sportsman and a shepherd / He's a lazy bastard livin' in a suite". Giusto per dare un assaggio di quello che sarà il resto. "Amen" è la canzone più lunga, sette minuti e mezzo, e anche per questo la più difficile da ascoltare; delicatissimo l'uso di batteria, sintetizzatori, banjo, organo hammond. Subito si avverte quella che, come ho detto, sarà il ruolo dell'accompagnamento musicale nel cd. Il ritornello ricorda molto quello di "I'm your man", anche per omofonia.
I pezzi sono dieci, e per spiegarli li si può solo ascoltare. Il protagonista è il caro, vecchio Leonard Cohen, rallentato (anche parlando per bpm) dagli anni: profetico, ironico, amaro, struggente. Ci sono, certo, canzoni riuscite meglio e altre peggio, ma la qualità generale è eccellente. Quelle che spiccano sopra a tutte le altre, a mio parere, sono tre. La prima è "The darkness", un vecchio e graffiante blues magistralmente suonato che fa da sottofondo a un testo classico da ultimo Cohen, quello di I'm your man e The future, romantico, erotico a tratti, ironico. Poi c'è "Crazy to love you", la cui progressione e esecuzione (voce e chitarra e basta) ricorda molto "Chelsea Hotel". Questo è il Leonard dei primi anni, innamorato e malinconico. E per finire c'è "Come Healing", aperto dalle splendide voci femminili di Jennifer Warnes, delle Webb Sisters e di Sharon Robinson, una sorta di preghiera a un'entità divina. E' il Cohen di oggi, influenzato anche dalla sua conversione al buddhismo e sicuramente dalla sua potente religiosità, sofferente ma instancabilmente vivo, con qualcosa da raccontare. Che dire se non, ancora una volta, chapeau.

VOTO: 8,5

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