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domenica 30 dicembre 2012

I MIGLIORI ALBUM DEL 2012

Proprio come l'anno scorso, anche in questo fine dicembre pubblichiamo la lista dei migliori album del 2012; la differenza rispetto all'anno passato stavolta è che la classifica conterà dieci titoli, e non solo i prim tre come l'anno scorso.
Si può dire che, in generale, il 2012 sia stato un anno di livello estremamente alto nel mondo della musica: è stato l'anno dei "vecchietti", come Bruce Springsteen, Neil Young, Bob Dylan, Leonard Cohen, Francesco Guccini, Rush, Steve Vai per citarne alcuni, e anche dei debutti, come quelli delle coppie Wilson/Akerfeldt e Hogarth/Barbieri, o di Jack White e Mark Tremonti come solisti. Non c'è, come spesso capita, l'album "miracoloso", ma ce ne sono tanti di ottimo livello, alcuni anche di più.

Andiamo ora a scorrere la classifica, dal decimo posto in su:
10° BLACK COUNTRY COMMUNION - AFTERGLOW         7.3/10
Da quando sono nati (2010) non hanno ancora saltato un anno, e sono al terzo cd. Benché da più parti si parli già di scioglimento e l'album potrebbe benissimo essere un lavoro solista di Glenn Hughes, è forse il migliore dei tre finora prodotti.
9° IL TEATRO DEGLI ORRORI - IL MONDO NUOVO            7.5/10
Unica presenza italiana nella top ten (e una delle poche in generale), anche Pierpaolo Capovilla & company sono arrivati al terzo album. Tanto impegno politico e tanto rock, sicuramente positivo.
8° STORM CORROSION - STORM CORROSION                 7.6/10
Se il genere proposto da questo album avrà un seguito, Steven Wilson e Mikael Akerfeldt saranno sicuramente ricordati per averlo inventato. Scompare la forma canzone, a volte anche la tonalità, si gioca con gli esperimenti e le atmosfere create da due dei maggiori esponenti del progressive mondiale. Visti gli interpreti, ci si poteva aspettare anche qualcosa di più.
7° S. HOGARTH & R. BARBIERI - NOT THE WEAPON BUT THE HAND     7.8/10
Approposito di duetti e di atmosfere sperimentali. Se, a mio parere, il nuovo album dei Marillion ("Sounds that can't be made") è stato un buco nell'acqua, Steve Hogarth rimedia egregiamente grazie alla collaborazione con uno dei più geniali creatori di suoni del mondo. Il risultato è eccellente, soprattutto in alcune canzoni.
6° KIKO LOUREIRO - SOUNDS OF INNOCENCE                     8/10
Di gran lunga il miglior album solista dell'anno nel mondo dei chitarristi, chilometri sopra Steve Vai (trito e ritrito il suo "Story of the light") e Mark Tremonti ("All I was" ancora acerbo). La presenza di Felipe Andreoli al basso (Angra) e Virgil Donati alla batteria garantisce valore all'enorme capacità compositiva del chitarrista brasiliano. Quasi a livello del successivo.

5° RUSH - CLOCWORK ANGELS                                 8.2/10
Entriamo nella top five. Ci sono quei gruppi che hanno qualcosa in più, che riescono a non ripetersi mai e a innovarsi nel tempo senza fallire. I Rush, che fanno 180 anni in tre, sono uno di questi. Più rock che progressive, "Clockwork angels" è un lavoro solido, vario, che ricorda i primi tempi (soprattutto con Caravan e The anarchist) e contemporaneamente si evolve verso il futuro.

3° KATATONIA - DEAD END KINGS                                        8.5/10                         
     ANATHEMA - WEATHER SYSTEMS                                   8.5/10                        
Sorpresa, al terzo posto c'è un pari merito.A entrambi manca qualcosa per arrivare anche più in alto nella classifica (un pò di rigidità in meno ai Katatonia, un pò di varietà in più agli Anathema) ma si meritano entrambi il podio. "Dead end kings" suona, appunto, un pò rigido soprattutto nelle parti ritmiche, cosa comune a dire il vero con lo stile dei Katatonia, ma ha diversi picchi di intensità (The parting, Lethean, Dead Letters su tutte). "Weather systems" invece si ripete -un pò troppo forse- nella struttura delle canzoni, ma i primi quattro brani e la voce di Lee Douglas sono forti e, soprattutto, belli come pochi.

2° LEONARD COHEN - OLD IDEAS                                        8.6/10
Il vecchietto più vecchietto di tutti (78 anni compiuti a settembre) produce un'altra meravigliosa opera, che potremmo chiamare un'opera di anzianità. Ampiamente recensito su questo blog, "Old ideas" è un tipico album di Cohen, fortemente autobiografico, essenziale negli arrangiamenti e ricchissimo nei testi che il cantautore canadese sussurra con la sua voce bassissima. Non c'è una canzone che non funzioni. Dopo il (quasi) deludente "Dear Heather", un album da applausi.

1° JACK WHITE - BLUNDERBUSS                                        9/10
Come detto, non c'è l'abum che fa gridare al miracolo in questo 2012.  Ma Jack White, al suo debutto da solista,  spreme in "Blunderbuss" tutta la sua vena compositiva che trova le sue radici nel rock, nel blues e nel folk oltre che nei Led Zeppelin, e, con un suono tremendamente vintage, dà vita a un cd lineare, essenziale e chiaro come pochi di questi tempi. Praticamente zero virtuosismi, come scritto anche nella recensione proposta sul blog, ma grande intensità e varietà, con continui richiami agli anni sessanta e settanta. Per certi aspetti è un disco "manierista", ma funziona alla perfezione. Debutto attesissimo il suo, e White ha pienamente ripagato le attese. Disco dell'anno.

Come l'anno scorso chiudiamo con alcune citazioni di dischi che non sono finiti nella top ten ma che meritano un ugualmente un ascolto. Appena fuori dai primi dieci c'è Bob Dylan con il suo "Tempest", votato miglior album dell'anno da Rolling Stone, personalmente il mio preferito degli ultimi dieci anni assieme a "Modern times". Poi c'è il gradito ritorno dei Soundgarden, che con "King animal" mostrano che il grunge non si è ancora spento del tutto, in attesa dei Pearl Jam per il prossimo anno. Discorso a parte per i Distorted Harmony, band progressive israeliana al debutto con "Utopia": devono scrollarsi di dosso un pò di errori di gioventù, ma meritano futuro. Infine discorso a parte anche per Francesco Guccini, che, allungando la classifica, penso avrei messo all'undicesimo posto con "L'ultima thule", appunto, annunciato ultimo lavoro della sua carriera. L'anno scorso era stato Fossati a dire addio, quest'anno Guccini. Il cd, comunque, merita decisamente un ascolto.

Ultimo punto sono le note negative: è difficile farlo, ma mi tocca stroncare "Psychedelic pill", del caro vecchio Neil Young. Ripetitivo fino alla nausea, composto da due cd che paiono non arrivare mai da nessuna parte, con pezzi di lunghezze veramente dubbie per un album folk-rock (otto, sedici e addirittura ventisette minuti). Peccato. Un pò meglio ma non sufficienti sono "All I was" di Mark Tremonti, come detto anch'egli all'esordio da solista, e "Koloss" dei Meshuggah. Entrambi vivono di un paio di pezzi e niente più, il resto fa praticamente contorno. Infine, mi sento quasi in dovere di stroncare i Muse, che con "The 2nd law" credo abbiano toccato il fondo e iniziato a raschiare. Ho letto in una recensione: "i Muse meritano il titolo per il miglior album dell'anno perché sono quelli che, oggi, interpretano meglio il rock". Errata corrige: sono quelli che interpretano meglio il portafogli e le esigenze commerciali/radiofoniche del mondo musicale. Il rock, per fortuna, è un'altra cosa, e non è terreno loro.


Jack White, "Blunderbuss"

sabato 29 dicembre 2012

Scialla!



Dopo alcuni mesi di silenzio, torno anch'io a scrivere su Omnium Blog.
Questa sera lo faccio per Scialla, un film che, secondo me, non in molti hanno visto. Mentre invece meriterebbe, eccome. Un film di quelli capaci di farti riflettere, emozionare e divertire negli stessi 90 minuti.
Scialla è uscito a Novembre del 2011. È il film d'esordio alla regia di Francesco Bruni, storico sceneggiatore dei film di Paolo Virzì. Prende il nome da un termine del gergo giovanile che significa "tranquillo", "sereno", e che contiene già lo spirito del film. Un giallo di marmellata alle arance, di luce liquida nella nebbia del mattino.


La storia ruota intorno a due personaggi, un padre e un figlio, che hanno vissuto per quindic'anni in due realtà separate (anche fisicamente, non sapendo l'uno dell'esistenza dell'altro). Ma non starò a raccontarvela per filo e per segno, per quello ci sono già wikipedia e tante altre recensioni del film.
Per capire di cosa si sta parlando vi basta conoscere la formula bruta della storia. Come avrete intuito, dopo questi quindic'anni succede qualcosa per cui i loro mondi si incontrano. Niente di incredibile, raffreddate gli animi: Luca ha bisogno di ripetizioni, il padre è un ex professore ritiratosi che dà lezioni, così la madre decide di farli conoscere. Fin da subito si intuisce una certa affinità tra i due, ma la vera svolta nel loro rapporto avviene una volta partita la madre, quando Luca si trasferisce dal padre. L'improvvisa vicinanza mette a nudo profonde differenze, a partire da quelle linguistiche, ma anche inaspettate somiglianze (scena del cetriolo), e genera in entrambi un necessario e radicale cambiamento. 

Cosa c'è intorno a questa storia, vergognosamente ridotta all'osso da me? C'è un vestito altrettanto semplice, ma intessuto attentamente con i pochi fili della quotidianità, cioè il culto delle piccole cose ma vere, e dell'umorismo. C'è un'idea ben precisa di fondo e la voglia, l'energia necessaria per trasmetterla.
Alla fine temi non facili da affrontare (come la relazione tra genitore e figlio, la scuola, l'adolescenza) vanno giù fluidamente, come un piatto di spaghetti alla carbonara, sugosi e cotti al punto giusto.
Forse perchè c'è un'idea generale che permea tutto il film e che permette allo spettatore (potenzialmente davvero di ogni sesso, età, estrazione sociale, interessi ecc) di andare oltre il singolo tema trattato, e di sentirsi coinvolto. Comunque lo si veda, è un messaggio positivo che arrriva. Che ti dice: "Scialla fratello!". E ogni tanto è importante ricordarselo, più di quanto non si pensi.


giovanni






  


martedì 11 dicembre 2012

RECENSIONE DI "OLD IDEAS", LEONARD COHEN

Chi è Leonard Cohen? E' facile da descrivere..un cantautore, un poeta, un incantatore, ma anche un vecchietto, un ubriacone, un uomo. No, forse non è così facile. Forse lo fa meglio lui stesso in Old Ideas, dodicesimo album della sua quasi cinquantennale carriera. Il Cohen di Old Ideas è tutto questo, tutto quello che è stato nella sua vita e nella sua carriera. E si descrive, ancora una volta, attraverso la sua musica, attraverso le sue parole.

La voce, si sa da anni, non si smuove praticamente più dai tipici timbri cupi e bassi che tanto ricordano Tom Waits, e la musica, come nel precedente Dear Heather, è lasciata a fare da puro accompagnamento, sullo sfondo della descritta graffiante e profonda voce, accompagnata da numerose leggere voci femminili. A differenza del precedente, però, stavolta tutti i testi sono di Cohen, e tutti (o quasi) sono profondamente autobiografici. Le scelte stilistiche e musicali fanno sì che Old Ideas non sia un album di facile ascolto, che anzi abbia bisogno di essere metabolizzato. Ma, una volta metabolizzato, regala tutto ciò che uno dei migliori dischi di Cohen può regalare, perchè di questo si tratta. Raccomandatissimo, come per tutti gli album di cantautori, l'ascolto con i testi delle canzoni sempre sott'occhio.
Il primo pezzo, "Going home", offre già la summa del cd; è l'autoritratto di Cohen, uomo vecchio, amaramente ironico e ferito, forse dagli anni, forse dal tempo che vive, chi lo sa. Il cd si apre con i versi "I love to speak with Leonard / He's sportsman and a shepherd / He's a lazy bastard livin' in a suite". Giusto per dare un assaggio di quello che sarà il resto. "Amen" è la canzone più lunga, sette minuti e mezzo, e anche per questo la più difficile da ascoltare; delicatissimo l'uso di batteria, sintetizzatori, banjo, organo hammond. Subito si avverte quella che, come ho detto, sarà il ruolo dell'accompagnamento musicale nel cd. Il ritornello ricorda molto quello di "I'm your man", anche per omofonia.
I pezzi sono dieci, e per spiegarli li si può solo ascoltare. Il protagonista è il caro, vecchio Leonard Cohen, rallentato (anche parlando per bpm) dagli anni: profetico, ironico, amaro, struggente. Ci sono, certo, canzoni riuscite meglio e altre peggio, ma la qualità generale è eccellente. Quelle che spiccano sopra a tutte le altre, a mio parere, sono tre. La prima è "The darkness", un vecchio e graffiante blues magistralmente suonato che fa da sottofondo a un testo classico da ultimo Cohen, quello di I'm your man e The future, romantico, erotico a tratti, ironico. Poi c'è "Crazy to love you", la cui progressione e esecuzione (voce e chitarra e basta) ricorda molto "Chelsea Hotel". Questo è il Leonard dei primi anni, innamorato e malinconico. E per finire c'è "Come Healing", aperto dalle splendide voci femminili di Jennifer Warnes, delle Webb Sisters e di Sharon Robinson, una sorta di preghiera a un'entità divina. E' il Cohen di oggi, influenzato anche dalla sua conversione al buddhismo e sicuramente dalla sua potente religiosità, sofferente ma instancabilmente vivo, con qualcosa da raccontare. Che dire se non, ancora una volta, chapeau.

VOTO: 8,5

venerdì 7 dicembre 2012

RECENSIONE DI "BLUNDERBUSS" DI JACK WHITE

Ci avviciniamo alla fine dell'anno e come l'anno scorso stileremo la classifica dei migliori album dell'anno. Ma, com'è giusto che sia, va dedicato un pò di tempo anche alla recensione cd per cd di alcuni lavori del 2012. Per motivi di diversa natura, il blog è rimasto "chiuso" fino ad oggi, chissà che non si possa ricominciare a lavorare con continuità ora!
Ma andiamo al punto: il 23 aprile esce Blunderbuss, primo disco solista dell'ex leader dei White Stripes e poi membro di The raconteurs e The dead weather. Dalle prima note della prima canzone, "Missing pieces", abbiamo un quadro praticamente completo dell'album: il blues e il rock si fondono in una rara precisione di suoni e di atmosfere, che rendono subito Blunderbuss un disco da ascoltare e riascoltare.
L'anima ledzeppeliniana di White trasuda in ogni canzone, anche se sfiorando soltanto lo stile della storica band.
La copertina
Ma tutto o quasi rimanda agli anni settanta, compreso il suono, vintage come è d'uopo per White. Tredici pezzi, che variano dai più aggressivi e sporchi come "Sixteen saltines" e "Trash tongue talker" ai più sognanti e leggeri come "Love interruption" (unico singolo estratto dall'album), la title track "Blunderbuss", la conclusiva "Take me with you when you go". Come ha detto lo stesso Jack White, le canzoni potevano essere prodotte solo a suo nome, ed è per questo che il musicista di Detroit ha fatto ricorso alla pubblicazione di un cd solista. E, almeno al mio orecchio, l'album suona come uno dei più ispirati degli ultimi anni; pochi sono i compromessi con il virtuosismo, che in generale non fa parte della produzione di White, e tutto il cd sembra riuscire a dire esattamente quello che vuole e uscire dalla mente e dalla penna del compositore senza filtri esterni. Ci si può emozionare, si può ballare, ci si può arrabbiare, si può sognare, tutto in tre quarti d'ora di album. Blunderbuss è anche un album che appare nostalgico, nostalgico di un periodo musicale che è svanito, quello di passaggio tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta, appunto il periodo in cui il blues abbracciava il rock. Ci voleva un album di questo tipo, che facesse rivivere quelle atmosfere, in maniera nostalgica, ma senza cadere nel ridontante. Insomma, come si sarà acapito, nella mia personale classifica Blunderbuss si candida a gran voce per il titolo di album dell'anno. Intanto, ne consiglio vivamente l'ascolto, dall'inizio alla fine, senza sosta, cosa facile da realizzare anche perché le canzoni scivolano via veloci una dopo l'altra, lasciandoti però sempre addosso qualcosa.Concludo lasciando il video del singolo, "Love interruption".




VOTO: 9/10

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