Fortress arriva, appunto, tre anni dopo AB III, capitolo più discusso del gruppo, celebrato dalla critica ma meno apprezzato da una parte dei fan.
Il disco è uscito in Europa il 30 settembre e solo l'8 ottobre negli USA. Più di un mese prima, il 12 agosto, è stato anticipato dal singolo -con conseguente video- "Addicted to Pain", che come stile ricordava un po' il precedente "Isolation" estratto da AB III. Ma entriamo nello specifico.
Il disco contiene 12 tracce, e sembra effettivamente diviso in due: i primi sei pezzi, infatti, si ascoltano tutti d'un fiato, senza praticamente lasciare pause.
L'opening track del disco, "Cry of Achilles", lascia già sbalorditi: la chitarra "flamencata" dell'intro spalanca le porte per un tipico riff marchio di fabbrica Alter Bridge, veloce e melodico. Ma nella parte centrale salta alle orecchie un bridge in stile quasi progressive, con accenti spostati e imprevedibili per lo standard hard & heavy. Il risultato è uno dei pezzi migliori mai scritti dalla band.
Lo segue il singolo "Addicted to Pain, e poi a ruota la sconvolgente "Bleed it Dry", che è invece una delle canzoni più dure scritte dai nostri, e che sconvolge anche per come muta dopo due minuti e mezzo, lasciando improvvisamente spazio a una sola chitarra in pulito e alla voce di Kennedy, a cui si aggiungono pian piano gli altri strumenti, per arrivare all'assolo dello stesso Kennedy e poi tornare alla durezza iniziale. L'album prosegue, dopo la semi ballata "Lover" troviamo "The uninvited" (dal riff prettamente in stile Tool), graffiante e cattiva al punto giusto con uno Scott Phillips in gran forma dietro alle pelli. Con "Calm the fire", settimo brano del cd, il ritmo rallenta un po', e passa per una intro che strizza entrambi gli occhi ai Muse per poi buttarsi in un ritornello epico, tra i più belli e orecchiabili dell'album. Scivolando verso la fine, dopo aver sentito Mark Tremonti prendere il ruolo del cantante solista in "Waters rising", arriviamo alla struggente "All ends well", forse l'unica vera ballad del disco, e alla title track "Fortress": la sezione centrale di quest'ultima è la conferma definitiva della continua evoluzione degli Alter Bridge. Due minuti interamente strumentali con lo scambio di assoli tra Tremonti e Kennedy che ricorda i Dream Theater e gli standard del progressive. Anche "Fortress" si colloca nell'Olimpo dei pezzi composti dalla band.
Insomma, come possiamo sintetizzare? Fortress è il logico proseguimento di AB III, cupo come quest'ultimo -anche nelle liriche- ma più sperimentale, più maturo e, obbiettivamente, ancor meglio realizzato. Mancano, come detto, le numerose ballad di One day remains e Blackbird, ma non se ne sente la mancanza. Kennedy ha ormai iscritto il proprio nome nella storia delle voci rock e non perde mai occasione di ricordarcelo durante l'ascolto; Tremonti ha dichiarato pubblicamente le sue influenze e il suo background proventienti dal metal, già esplosi nel suo All I was, e i potenti riff di Fortress ne sono la dimostrazione; Scott Phillips e Brian Marshall si prendono più spazio del solito, riuscendo a completare l'opera con una sezione ritmica sempre migliore. Un paio di pezzi meno riusciti degli altri -"Farther than the sun" e "Cry a river", che arrivano prima del gran finale- nulla tolgono a questo, possiamo dirlo, capolavoro. Forse l'espressione è stata già sprecata, ma, probabilmente, vale la pena di dire che per il 2013 il titolo di album dell'anno è stato assegnato.
VOTO: 9,5