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lunedì 16 aprile 2012

DIAZ, UN CAPOLAVORO DEL CINEMA IMPEGNATO

E' uscito nelle sale solo tre giorni fa, ma già è forte la sensazione nell'aria che questo sia un film che farà storia. Diaz-don't clean up this blood è un fil-documentario di Daniele Vicari che racconta attraverso testimonianze dirette una delle pagine più nere (o rosse, di sangue però) della storia recente della politica italiana, i fatti della scuola A.Diaz a Genova e le violenze della caserma di Bolzaneto nel G8, appunto di Genova, del 2001.
La locandina del film

Partiamo da un primo dato: 11 anni dopo, il processo ai poliziotti e ai manifestanti protagonisti dei drammatici fatti non si è ancora concluso, è in corso l'appello in Cassazione,.E' una vicenda contrastata, che non è probabilmente facile da ricostruire per la chiara diversità di testimonianze sull'accaduto, e forse non avrà mai un colpevole, come il processo sulla strage di Piazza delle Loggia ha decretato in questi giorni. Fatto sta che Amnesty International ha bollato gli episodi della scuola Diaz e di Bolzaneto come la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale. E, a scanso di equivoci, ha anche chiesto ripetutamente l'apertura di varie inchieste sulla vicenda.
Un secondo dato è che chi andrà nelle sale a vedere questo film non si aspetti di vedere un film imparziale: Vicari raccoglie le testimonianze delle vittime delle violenze e li mette nel suo film, che chiaramente interpreta la vicenda dal loro punto di vista e non da quello della polizia. Ma questo non vuol dire che il film non sia un riuscitissimo lavoro cinematografico, quello che potremmo chiamare lo "schierarsi" di Vicari si intravede solo in pochissime scene che, penso, non sono citate nelle testimonianze. Ma non sono scene che riguardino le violenze, sono immagini di contorno. Tutto quello che si racconta viene da deposizioni di sopravvissuti, perché di sopravvissuti bisogna parlare.
Per la visione del film è consigliabile una conoscenza di fondo dei fatti del G8, perché non si parla mai di quali fossero le motivazioni di una manifestazione mondiale tanto imponente né si raccontano i fatti precedenti alla Diaz. Perciò è praticamente inutile raccontare la trama, perché tutto il film si svolge praticamente in due giorni, il 20 e il 21 luglio 2001, ed è interamente concentrato su questi episodi. Per chi, dunque, stesse leggendo questa recensione e non conoscesse i fatti in questione, consiglio un rapido ripasso.
Diaz è, personalmente, uno dei film più duri e crudi che abbia mai visto, se non forse il più duro: non perché vi siano scene di genere splatter o simili, ma perché tutto quel che si vede è storia vera di un paese democratico e occidentale come il nostro, ed è storia di inizio 2000. Oscurato, forse, nella sua importanza dall'attentato alla Torri Gemelle che avvenne due mesi dopo e non studiato a scuola per motivi di programma, ma fondamentale a mio modo di vedere per capire lo Stato Italiano.
Daniele Vicari
Diaz fa male, non è un film ricreativo, non è un film divertente, non è un film spensierato, è un film che addenta lo stomaco e non lo lascia più, dalla prima all'ultima scena, e lascia allo spettatore due ore di dolore, riflessione e paura.Come è stato detto, andare a vedere questo film è un dovere civile, un dovere morale e un dovere del cuore, se non altro per conoscere quello che è stato. Non è un film come un altro da vedere e poi dimenticare, indubbiamente, anche nello spettatore più disattento e disinteressato, stringe una tenaglia che va a collocarsi tra la bocca dello stomaco e l'esofago, che rende difficile il respiro e persino il pianto.
Non è un film come un altro e per questo questa non è una recensione come un'altra, perché poco si può dire sulla prestazione degli attori e sulla qualità di fotografia, colonna sonora e regia (peraltro tutte impeccabili), ma molto si può dire sulle emozioni di ognuno di noi. Andate a vedere Diaz.



lunedì 9 aprile 2012

Perchè "Romanzo di una strage" è un film da vedere

E' da poco uscito nelle sale italiane Romanzo di una strage, l'ultimo lavoro di Marco Tullio Giordana, autore di altri film di successo quali La meglio gioventù e I cento passi.
Argomento del film sono le circostanze che portarono alla strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 e le sue conseguenze sulla scena politica italiana
Al giorno d'oggi la vicenda resta giudiziaramente ancora senza colpevoli e piena di "misteri"
. Nel corso del film Giordana offre una versione dei fatti, quella descritta nel libro "Il segreto di Piazza Fontana" di Cucchiariello, in grado di dare un senso alla sanguinosa catena di eventi che hanno caratterizzato quel periodo della nostra storia (e quindi anche la nostra attuale società), e soprattutto in grado di additarne i responsabili.
Trattandosi questo di un articolo rivolto soprattutto a persone che non hanno ancora visto il film (ma che poi DOVREBBERO guardarlo, almeno per acquistare un minimo di consapevolezza sulla propria, recente, origine storico-politica; consapevolezza che tipicamente NON viene insegnata nella scuola italiana, per esempio nelle ore di storia durante le quali raramente si arriva a parlare di fatti posteriori alla seconda guerra mondiale), ed essendo ormai disponibili a tutti luoghi di informazione molto più dettagliati e precisi di quanto farei io, non mi soffermerò più di tanto sulla dinamica dei fatti e quindi sulla trama del film. Basti sapere a uno che va a vedere questo film e che della strage sa poco o nulla, che la scena politica di fine anni '60 era apparentemente molto diversa (l'onda rivoluzionaria del '68 si era sentita anche in Italia, il che aveva contribuito all'ulteriore accentuazione di idee radicali e a una rapida crescita dell'uso della violenza) ma che al contempo c'erano alcune analogie con la nostra scena politica, costanti nell'arco della nostra storia, come l'appartenenza del reale potere nelle mani di una minoranza (cricca?) spesso caratterizzata da un conservatorismo di fondo e da una forte avidità.
L'esplosione della bomba di Piazza Fontana fu solo una delle molte che erano già scoppiate in quel periodo (per l'appunto detto "di piombo") e che continuarono a scoppiare fino agli anni '80, rientrava nella cosiddetta "strategia della tensione". La stabilità della democrazia italiana fu spesso compromessa, non soltanto da anarchici e comunisti ma anche da alte cariche militari e filo-fascisti, come descritto nel film, per esempio attraverso la descrizione di curiosi soggetti come "il Principe" (capace di minacciare telefonicamente i maggiori capi di governo, riuniti in una sorta di cena di Tremalchione alle spalle di Moro, che fortunatamente avevano esitato a indire "le condizioni di emergenza" ideali per il colpo di stato).
La bomba di Piazza Fontana fu solo una delle cinque bombe del 12 dicembre '69, fece 17 morti e 88 feriti. Gli anarchici furono ritenuti fin da subito i responsabili, come lo erano stati per le precedenti "bombe sui treni", ma le analisi più recenti e la posizione di questo film condannano piuttosto alcuni militanti di estrema destra (tra i quali i veneti Freda e Ventura a cui è data ampia attenzione nel film e che furono effettivamente condannati, ma solo in cassazione) e lo Stato Italiano. E' emblematica, in questo senso, la voce affranta con cui Aldo Moro dà spesso sfogo nel corso del film alla sua rabbia e alla sua rassegnazione di fronte alla verità. Al termine del film tutti i personaggi principali della storia (Pinelli, l'anarchico non violento volato giù dalla finestra della questura di Milano interpretato Da Favino; Calabresi, l'umano commissario interpretato da Mastandrea, ennesima vittima, nel '72, di questo vortice di morte; e lo stesso Moro, che, con prove alla mano della colpevolezza dello Stato sulla strage, scieglie di tacere e rassegnarsi) mi sono tutti parsi vittime di qualcosa più grande di loro, intoccabile e intangibile.
Talvolta questa è la sensazione che si prova anche oggi, specialmente alla luce degli scandali, nuovi ogni giorno di colore politico ed entità, o delle ingiustizie perpetuate dalle criminalità organizzate, altro cancro sempreverde e particolarmente attivo negli ultimi anni.
L'invocazione alla semplicità e alla trasparenza è l'ultimo indizio che io ho saputo trovare in questo film sorprendentemente attuale e illuminante...a voi la scoperta di nuovi e più personali riflessioni.

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