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martedì 11 ottobre 2011

HERITAGE, NUOVO ALBUM DEGLI OPETH


E' uscito il 20 settembre il decimo album della band svedese fondata nel 1990 da Mikael Akerfeldt.
Il singolo uscito in precedenza, "The devil's orchard", aveva fatto chiaramente capire cosa sarebbe stato questo album: una rivoluzione, semplicemente, anticipata solo da alcuni momenti del precedente album, "Watershed". Il growl e la componente death metal sono spariti definitivamente, per lasciare spazio ad un suono anni settanta che spazia dal rock al jazz. La nuova strada intrapresa dagli Opeth, è facile prevederlo, deluderà o entusiasmerà i fans a seconda dei gusti. E' difficile che in questi casi ci sia una via di mezzo. Personalmente, devo dire che l'album mi ha deluso: è normale e ci sta che nella storia di un gruppo i gusti e le idee dei componenti cambino, ma complessivamente vedo "Heritage" come un album poco ispirato. La via si era cominciata ad intravedere dai tempi di "Ghost reveries", del 2005, in pezzi come "The baying of the hound" o "Beneath the mire", per poi delinearsi più chiaramente in "Watershed" con pezzi come "Porcelain heart" o "Hex omega". Ma il suono del nuovo album rimane assolutamente rivoluzionario, nuovo.
"Heritage", la breve traccia di apertura, è un'introduzione di piano, con una melodia orecchiabile, a "The devil's orchard", che subito colpisce per il suono sporco che rimanda in tutto e per tutto agli anni 70. Per non parlare dell'organo -ora nelle mani del nuovo arrivato Joakim Svalberg, ma le parti sono state scritte dall'ex membro Per Wiberg- che si divide fra Pink Floyd, Deep Purple e chi più ne ha più ne metta. Subito si fanno notare gli esperimenti jazz che accompagnano l'ascoltatore fino alla fine del cd, e la batteria di Axe molto presente, elemento centrale e coerente per tutte le 10 canzoni. Terminato l'ascolto della seconda traccia, chi ascolta si trova sicuramente già sbalordito, e quello che verrà dopo non lo sorprenderà più di tanto, col rischio che alla fine una parte del cd passi inosservato. "I feel the dark" si divide in due, una prima parte acustica che assomiglia tanto allo stile morbido del già citato "Watershed", con tastiere, basso e batteria che offrono un delizioso accompagnamento alla chitarra. Dopodichè l'organo prende il sopravvento con un accordo quasi inquietante, lanciando il pezzo in atmosfere fantascientifiche e pinkfloydiane, fino a quando ricomincia l'arpeggio iniziale. Forse è uno dei brani meglio riusciti.
Segue "Slither", canzone dedicata al mito di Ronnie James Dio: riff ledzeppeliniano, canto più aggressivo, è la canzone più veloce dell'album, che si lascia ascoltare meglio. Anche questa ha un outro acustica.
Con "Nepenthe", "Haxprocess" e "Famine" siamo alla parte del cd più complessa all'ascolto: andamento molto lento, sperimentazioni psichedeliche che assomigliano molto di più ad un lavoro di Steven Wilson, riff che a volte sono addirittura troppo scontati. Sono forse le tre canzoni più inusuali e fuori dal genere Opeth mai scritte dagli Opeth. Sempre più in primo piano le tastiere e l'organo di Wiberg e la batteria di Axe. Per concludere, fanno capolino anche flauti e percussioni sudamericane. Si torna a respirare un pò del solito Akerfledt con "The lines in my hand": iff di basso graffiante, ritmo incalzante, linee vocali ben curate. Forse la canzone migliore.
"Folklore" è un brano molto lungo, anche questo dall'andamento lento, che però non stanca. Interessante il lavoro delle chitarre, gli ultimi tre minuti sono cavalcanti il giusto per ridarci un pò di carica nell'ascolto. L'edizione "normale" si chiude con "Marrow of the earth", traccia strumentale praticamente di sole chitarre, batteria e tastiere entrano nel finale per fare da tappeto. Può ricordare la colonna sonora di un film noir, molto tranquilla.
In generale, il patrimonio con cui Akerfeldt nomina questo cd è il patrimonio degli anni settanta, i gusti musicali del compositore che si riversano senza freni in "Heritage". Non è un cd da sottovalutare, innanzitutto perchè dimostra ancora una volta di più che gli Opeth sanno cambiare, e non solo col passare degli anni come era stato fino adesso, ma anche di colpo. Non è sicuramente il loro album più ispirato, le idee buone ci sono ma sono talmente sparse qua e là che si perdono. Allo stesso tempo, non c'è una canzone che spicchi e che ti possa far dire che almeno un capolavoro c'è: il tono del cd è molto simile in tutte le traccie, lente e jazzistiche. Penso che in futuro sapranno farci sognare di nuovo, magari se Akerfeldt riuscisse a reimpossessarsi del canto growl che ora ha anche eliminato dalle scalette del prossimo tour..
Voto: 5

Marco

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